Lo storico inglese Donald Matthew, nella premessa del suo libro uscito nel 1997, dal titolo ” I normanni in Italia”, evidenzia come L’Inghilterra sia stata sempre più attenta verso i Normanni rispetto all’Italia,dove vi é la tendenza a considerare questo popolo come un fenomeno che ha interessato esclusivamente il meridione. Niente di più sbagliato. Secondo l’autore, infatti, sono “le differenze ed i conflitti tuttora perduranti fra Italia del Nord e del Sud che rendono complicata l’integrazione della storia del regno normanno nel quadro di una storia d’Italia comunemente condivisa”. Il Regno normano in forme diverse – da ultimo come regno delle due Sicilie – durò dal 1130 al 1860, fino alla caduta dei Borboni.
Secondo Mattew le affinità del regno normanno con gli altri regni sparsi per l’Europa ne fanno un soggetto di maggior rilievo europeo, in un’età in cui i Comuni, che si affermavano al Nord, erano piuttosto isolati e divisi tra loro, senza una produzione artistica e culturale di grande rilievo. I normanni riconducendo ad unità, sotto la monarchia, un territorio come quello meridionale, diviso tra popoli e culture diversi (bizantini, arabi, longobardi), hanno dato un contributo al suo sviluppo.
Altri autori invece, pur riconoscendo ai Normanni il merito di aver gettato le basi del futuro Stato moderno e centralizzato, affermano che con la loro rigida organizzazione amministrativa, di tipo feudale, hanno impedito che nel sud d’Italia nascessero realtà come i Comuni, i quali divennero centri di crescita economica e nell’Italia del nord crearono una società di tipo mercantile.
Probabilmente in entrambe le tesi vi é una parte di verità. Comunque siano andate le cose, sta di fatto che in Calabria (e ancor di più in Sicilia) i normanni hanno lasciato delle tracce profonde in diversi campi, tra i quali quello dell’architettura; anche se i terremoti hanno in gran parte distrutto il patrimonio monumentale riferibile a quel periodo.
Abbazia SS Trinità di Mileto particolare dalla incisione del Pacichelli
(Napoli, 1703)
Queste tracce le troviamo in molti centri calabresi : Scalea, Laino borgo, Roseto, Malvito, Altomonte, Bisignano, Rossano, S. Marco Argentano, Luzzi (Sambucina), Montalto, Cosenza, S.Giovanni in Fiore, Corazzo, Taverna, Nicastro, Simeri, Catanzaro, Borgia, Squillace, Tropea, Nicotera, Serra S. Bruno (S. Stefano del bosco), Arena, Stilo, Bivongi, Bagnara, Gerace, Reggio Cal., Bova. Ci sono significative tracce del loro passaggio a Mileto (VV) – che fu scelta nel 1059 come capitale del regno dal Gran Conte Ruggero I – ed anche a Sant’Eufemia Vetere, nel territorio di Lamezia Terme. Qui in mezzo ad un agrumeto, si trovano i ruderi dell’abbazia benedettina di ” Santa Maria ” fondata nel 1062. Mentre a Mileto, su una collinetta dalle forme arrotondate, detta un tempo ” Monteverde “, é possibile osservare i ruderi dell’abbazia normanna della Trinità. Di quest’ultima, che in origine fu dipendente dall’abbazia lametina, si é interessato, fra gli altri, lo storico dell’arte prof. Giuseppe Occhiato. Questo autore ha individuato nell’Abbazia di “Santa Maria” a Sant’ Eufemia Vetere e in quella della Trinità di Mileto, poi seguite da quella di Gerace, le prime chiese che hanno importato nel nostro sud, lo stile nordico – benedettino delle costruzioni chiesastiche della Normandia. I modelli francesi di queste costruzioni sono costituiti dalle chiese di Cluny, Bernay, Saint ‘Evroul sur-Ouche, modelli che attraverso le due abbazie calabresi si diffusero anche nella vicina Sicilia, dove vennero costruite le cattedrali di Catania, Messina, Cefalù, Palermo. Da qui discende l’importanza delle abbazie lametina e miletina nel panorama dell’architettura del medioevo meridionale.
Gli scavi condotti a Sant’Eufemia Vetere hanno provato quanto sostenuto dall’Occhiato, infatti è stata individuata un’abside laterale della chiesa che con la sua forma semicircolare e la sua disposizione sul terreno, si inquadra nello schema architettonico benedettino -cluniacense. Schema che nelle chiese calabresi prima e in quelle siciliane poi si coniuga con la tradizione romanica. Venne plasmato un nuovo modello che vede l’impianto planimetrico della chiesa formato da tre absidi semicircolari disposte a gradoni in linea decrescente sui lati. L’abside centrale è più ampia e sporgente rispetto a quelle laterali : questo elemento assieme alla tendenza alla verticalità,appartiene allo stile cluniacense. La pianta della chiesa cruciforme e le tre navate, invece, appartengono alla tradizione latina : le navate, infatti sono delimitate da colonne come le basiliche paleocristiane (a S. Eufemia vi erano dei pilastri). Anche gli scavi condotti a Mileto nel 1995 dalla Sovrintendenza archeologica di Reggio Calabria hanno confermato le tesi dell’Occhiato.
I normanni, discendenti dei Vichinghi,furono abili costruttori oltre che conquistatori e nel sud Italia stipularono un accordo con il Papa per legittimare le proprie conquiste; in cambio si impegnarono a riportare sotto l’ influenza della chiesa di Roma tutti i territori conquistati, che erano di rito Bizantino. Perciò costruirono monasteri ed abbazie secondo modelli architettonici cluniacensi (da Cluny nel nord della Francia). A Mileto appartiene il primato di essere stata la prima sede episcopale latina di tutto il meridione, infatti Papa Gregorio VII, per compiacere il Gran Conte Ruggero che era molto affezionato alla città, nel 1081 vi istituì la diocesi.
I primi artefici della conquista normanna furono i due fratelli Roberto il ” Guiscardo ” e Ruggero d’Altavilla, seguiti da Ruggero II. Essi erano particolarmente legati ai monaci benedettini francesi e fecero venire dalla normandia abati e monaci che, oltre a svolgere un ruolo religioso, fossero capaci di incidere profondamente anche sul piano sociale ed economico. Questi religiosi erano in un continuo rapporto di fiducia con i dominatori normanni ed erano considerati come ” baronizzati ” (Pontieri : “Tra i normanni “).
L’abbazia di Sant’Eufemia Vetere fu voluta da Roberto il Guiscardo nel 1062 come mausoleo per le anime dei suoi cari, mentre la Trinità di Mileto fu voluta (tra il 1063 ed il 1066) dal fratello Ruggero d’Altavilla, poi Conte di Calabria e di Sicilia, come tomba per sè e per la moglie Eremburga (il sarcofago di quest’ultima é oggi in mostra nel museo di Mileto).
A costruire l’abbazia di Sant’Eufemia fu un monaco normanno, Robert de Grandmesnil. Si ritiene, infatti, che furono gli stessi religiosi benedettini a progettare le chiese in cui furono nominati abati o vescovi (Occhiato : La Trinità di Mileto nel romanico Italiano, Editoriale progetto 2000, Cosenza,1994). Era regola nell’ordine benedettino che fosse studiata fra i vari rami dell’arte anche l’architettura e gli abati avevano l’obbligo di tracciare la pianta delle chiese e delle costruzioni secondarie che erano chiamati a dirigere. Robert de Grandsmenil, giunto in Calabria dalla Normandia nel 1062 con 11 monaci,fu il primo abate di Sant’ Eufemia e alle sue dipendenze vi erano le abbazie di Venosa e di Mileto, rette da due priori francesi. Pare che l’abate Grandsmenil sia stato costretto a fuggire dalla normandia in Calabria a causa dei suoi intrighi politici contro il duca Guglielmo; detto “il conquistatore” dopo la battaglia di Hastings del 1066, con la quale sottomise l’Inghilterra