Ci fu un tempo in Calabria, in cui tutta l’economia dei vari paesi, distribuiti in questa impervia regione, ruotava intorno ad un oggetto particolare: “la libretta”. Non esistevano all’epoca grandi strutture come i supermarket o i centri commerciali, dove si è assistito ad una vera e propria spersonalizzazione dell’attività commerciale, grazie alla parcellizzazione del lavoro ed alla specializzazione delle varie mansioni, e grazie anche ad una netta separazione tra proprietà e gestione aziendale. I negozi, in genere, erano piccole botteghe di vicinato, quasi sempre a gestione familiare. In quelle più grandi c’erano spesso dei garzoni, che si occupavano delle mansioni più faticose, ma la presenza del proprietario era immancabile ed era lui, o al massimo la moglie, ad occuparsi, tra le altre cose, della cassa. Anche all’epoca, l’economia del paese era sostenuta prevalentemente dai sussidi agricoli, dagli stipendi dei pubblici dipendenti, prevalentemente forestali, o dei dipendenti delle piccole imprese locali e dalle poche pensioni. Era quindi normale, visto il generale stato d’indigenza, che nell’arco del mese, e spesso anche oltre, molte famiglie rimanessero per un periodo variabile, a seconda dell’entità delle entrate, senza danaro. Bisognava comunque mangiare e continuare a vivere, anche perché all’epoca i nuclei familiari erano alquanto numerosi, e tutti i membri delle varie famiglie si davano da fare, zappavano la terra, lavoravano nei boschi, accudivano gli animali, insomma consumavano molte energie ed avevano pertanto bisogno di sostenersi. Basti pensare che a quei tempi era impensabile trovare pane di mezzo chilo. L’unico pane in commercio, a parte i panini, aveva la forma di due chili e anche di più. Fu per far fronte a questo stato di esigenze ed anche per il fatto che comunque, per quanto popolosi, gli abitanti dei paesi si conoscevano tutti fra di loro, il che aiutava ad alzare la soglia di fiducia reciproca, che nacque la “libretta”. Si trattava, spesso e volentieri, di un quaderno, a righe o a quadretti, dove il negoziante annotava la spesa che ogni famiglia sosteneva a debito e che veniva poi pagata in tutto o in parte, di volta in volta, a fine mese, nella migliore delle ipotesi, allorchè venivano pagati gli stipendi o le pensioni, o appena possibile, come nel caso della riscossione della disoccupazione per i braccianti agricoli. La libretta era dunque un vero e proprio titolo di credito che i vari negozianti vantavano nei confronti di molti dei loro clienti. Certo la libretta rappresentava un rischio grosso, molti erano riconoscenti per il favore ricevuto, ma non tutti erano degni di fiducia; del resto l’anima del commercio era anche questo . . . scommettere e rischiare, ed a questo si aggiungeva anche il fatto che spesso concedere l’uso della libretta era l’unico modo per tenersi buoni molti clienti, che erano costretti, per necessità, a rivolgersi proprio a quei commercianti che concedevano questo servizio. Dunque non tanto il prezzo dei prodotti fungeva da criterio determinante per la scelta del negozio di fiducia, quanto la possibilità di poter usufruire di questo servizio essenziale. Spesso per rafforzare il rapporto di fiducia venivano date due librette, una la conservava il negoziante e l’altra il cliente; ogni volta che il cliente comprava qualcosa, il negoziante provvedeva a segnare la spesa su entrambe le librette. Quando poi veniva effettuato un pagamento, si calcolava il totale di entrambe le librette e si confrontavano i risultati per vedere se effettivamente combaciavano. Questo meccanismo consentiva di scongiurare eventuali sospetti su possibili imbrogli da parte di chi deteneva la libretta. Il negoziante nella sua libretta registrava i clienti in ordine alfabetico, utilizzando spesso più la ‘ngiuria del cliente, vale a dire il soprannome con cui era conosciuto in paese, che il suo vero cognome. Sotto il nome di ognuno annotava poi, in ordine cronologico, l’ammontare delle spese che venivano via via effettuate dal cliente c.d. “signatu” o da uno dei suoi familiari: da qui nacque l’espressione ricorrente “Signa!”. Possiamo dire che la fiducia che veniva riposta nei confronti dei possessori delle librette era a vita. Difficilmente, infatti, un conto veniva estinto completamente, si lasciava sempre una rimanenza, che serviva poi come acconto per l’apertura di una nuova libretta. I negozianti, dunque, erano sempre in credito, in credito con la maggior parte delle famiglie del paese e non era una vergogna per i debitori, perchè tutto il sistema socioeconomico ruotava attorno alla libretta. Era l’espressione di un retaggio della nostra cultura, una cultura basata sulla lealtà, sulla solidarietà, sulla dignità, sul rispetto reciproco. Ogni libretta veniva custodita gelosamente, come un vero libretto di risparmio e nessuno si sarebbe mai sognato di divulgare le cifre che gelosamente custodiva, a dispetto di qualsiasi sistema moderno di tutela della privacy. Oggi non esiste più la libretta, è anacronistica, del tutto impensabile in un mondo in cui il consumismo ha affossato tutti gli altri valori, la macchina ha sostituito l’uomo, in un mondo dove i rapporti umani si sono affievoliti, dove si dialoga più col computer che con il vicino di casa, e si è persa completamente la consuetudine all’aprirsi, al darsi all’altro, a confidare i propri bisogni ed offrire i propri servigi. Addio libretta, con te non sparisce solo una pratica commerciale, ma un mondo intero, un mondo semplice e genuino, fatto di passione e sincerità, un mondo vero, umano, una fetta consistente della nostra più sana civiltà.
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