Non ricordo per quale motivo quella lontana notte del 1978 dormii a casa di mia madre. Ma ho ancora nitida in mente la scena: fu proprio lei a svegliarmi con un bel caffè fumante e un’aria un po’ perplessa.
La sua frase fu molto precisa: <Ammazzaru lu Papa!>.
Come mai mia madre – che non era una cristiana praticante, e tuttavia covava la tipica religiosità superstiziosa – ha immediatamente pensato all’omicidio, pur senza essere minimamente al corrente degli intrallazzi della Banca Vaticana e dei gravi fatti di corruzione e malaffare che ruotavano intorno allo IOR e all’arcivescovo Marcinkus?
Sia ben chiaro: non ci sono prove certe dell’accaduto (e se c’erano… sono state insabbiate a tempo di record). Ma molti solidi indizi certamente sì.
Ci sono ottime certezze, invece, sul fatto che il successore dello “scomodo” Papa Luciani, il “comodo” Giovanni Paolo II, abbia lungamente coperto le magagne dei sacerdoti pedofili, favorendo di fatto il sacrificio di ulteriori e innumerevoli bambini innocenti.
E il noto giornalista Gianluigi Nuzzi ha rivelato dettagli molto imbarazzanti (per i quali è stato anche querelato e poi totalmente prosciolto) sui segreti del Vaticano e sulla “strana” abdicazione dello scomodo Benedetto XVI.
Orbene, è noto che io non sono un uomo di fede. Ma forse è meno risaputo che stimo senza riserve chi – pur animato da ragioni che non condivido – si dedica ai bisognosi. E che, per contro, detesto chi utilizza la fede, la religione e l’ideologia a mero scopo di potere e prevaricazione.
E da questo punto di vista non credo che la storia della Chiesa offra troppo spazio al dubbio: i suoi maggiori rappresentanti non sono certamente stati “buoni”, né hanno evidenziato comportamenti coerenti con i principi in cui affermavano di credere. Anzi, nel nome di Dio hanno compiuto i peggiori misfatti.
Ricordo invece, sia pur confusamente, che quando ero un bambino di pochi anni, nella stessa “vineda” (via Vito Dell’Apa) in cui abitavano i miei genitori c’era un vecchio prete morente, don Servaturi! Sapevo ben poco di lui, ma ero impressionato dal fatto che tutti ne parlassero come una persona estremamente buona e caritatevole, ed apparissero sinceramente commossi al pensiero che si stava avviando – confortato dall’affetto intenso delle sorelle – ad una morte ormai inevitabile.
A Serra San Bruno, del resto, abbiamo avuto dei preti esemplari, che io stesso – pur scarsamente avvezzo alla frequentazione delle sacrestie – ho stimato senza riserve. Ed altri ottimi sacerdoti li ho conosciuti all’Istituto Salesiano di Soverato, nonostante l’ambiente fosse gravemente inquinato da qualche isolato pedofilo, peraltro abbastanza incapace di dissimulare la propria perversione.
Quello che non ho potuto fare a meno di notare è che – per quanto mi è dato saperne – non ho notizia di alcun “servitore di Dio” veramente “buono” che abbia fatto nelle gerarchie ecclesiastiche una carriera meno effimera di quella di Papa Luciani. Mentre, al contrario, i “buoni pastori”, quelli che si sono sinceramente spesi per la gente, sono immancabilmente rimasti a invecchiare all’interno di piccole parrocchie di provincia (e talvolta, in tarda età, sono stati perfino ripagati con dolorosa ingratitudine). Alcuni di loro lo hanno fatto nella mia Serra San Bruno.
Non c’è nulla di strano in tutto ciò: chi passa la vita a dedicarsi effettivamente al prossimo non spreca le proprie energie e il proprio tempo nella difficile scalata dei gradini che portano alle stanze del potere, attraverso invidie, gelosie, intrighi, complotti e colpi bassi. Viceversa, chi si concentra sulla propria personale ambizione dimostra immediatamente di avere una personalità poco compatibile con la dichiarata “missione pastorale”.
La mia non è, dunque, una questione di fede, ma di evidenza, di fatti, di storia appresa sui libri e, soprattutto, di storia vissuta da spettatore (non interessato, ma neanche distratto).
Ecco perché – oggi più che mai – non mi lascio incantare dalle sapienti strategie di marketing messe in atto da un qualsiasi telegenico “Papa buono” (di cui molte magagne si conoscono e molte altre si intuiscono), ed ho molti dubbi sul fatto che un pontefice venga eletto per la sua “bontà” piuttosto che per gli interessi assai poco spirituali della Curia.
Preferisco indirizzare la mia stima verso i tanti “preti buoni” che lavorano con effettiva dedizione nelle loro parrocchie isolate, o fanno addirittura i missionari nei luoghi meno desiderabili e più pericolosi, senza retorica, senza telecamere e senza folle adoranti, intente ad esaltare non i veri eroi umili e silenziosi ma i loro ipocriti e chiassosi rappresentanti.
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