Questi sono i serresi presenti a San Nicola da crissa alla festa dell’11 ottobre del 1959, una festa che si è trasformata in strage. In quel tragico evento nessun serrese rimase ferito e in seguito fu deciso di far dire una messa di ringraziamento a San Bruno.
Io quella sera c’ ero. La sera dell’11 ottobre 1959, vigilia della festa del del Rosario, ero là, a San Nicola da Crissa.
Vi ero arrivato, come già negli anni precedenti, assieme ad Enzo Bertucci, ospiti sulla “topolino” di Gabriele Mastropietro, per assistere ai festeggiamenti in onore della Madonna del Rosario.
Parcheggiata l’auto nelle vicinanze del Cimitero, ci avviammo a piedi alla volta del paese da dove provenivano le allegre note della banda, e l’indistinto vociare della gente di un paese in festa.
La via Fiorentino, ( strada principale di accesso per i provenienti dai paesi gravitanti intorno a Serra San Bruno ), illuminata dalle numerose lampadine che ornavano gli archi , presentava entrambi i lati occupati dalle bancarelle sulle quali era esposto ogni tipo di merce, dai fragranti mostaccioli di Soriano, che non mancavano mai dalle fiere paesane, alle coperte e ai rotoli di tessuti per la confezione di vestiti, alle divise con scarponi militari dismessi , ai tegami, alle pignatte e ai fischietti di terracotta ( preferiti, unitamente alle trombette, dai bambini ) e a quant’ altro potesse tornare utile nelle famiglie e per i lavori della campagna: il “ il boom”, e con esso il consumismo incominciavano a dare i primi segni del loro avvento.
Robusto ed allettante per le narici, il buon odore proveniente dalle cantine nelle quali si preparava lo spezzatino con le patate, da propinare, con un ottimo bicchiere di vino e formaggio locale, ai forestieri (e non solo …) arrivati per la festa dai paesi viciniori.
Molte le persone di Serra sparse in mezzo alla gente.
Arrivammo sulla piazza Marconi, dove era stato allestito il palco sul quale una rinomata la banda musicale ingaggiata da un paese forestiero, in quel momento, secondo tradizione e programma, stava eseguendo un brano di opera lirica.
Lì ci siamo incontrati con i miei fratelli Sharo e Vinicio che, unitamente al farmacista Pino Jellamo, si intrattenevano con Pasquale Martino, segretario della Scuola media di Serra, e la di lui moglie Tota La Face.
Assieme entrammo nel vicino bar Mazzè per una consumazione e, usciti dopo esserci accomiatati dagli amici, ci siamo intrattenuti ad ascoltare il tradizionale “Canzoniere “, un insieme di brani di musica leggera di epoche diverse.
Al termine del concerto, lo sparo di un mortaretto diede l’avviso che tutto era pronto per l’inizio dello spettacolo dei fuochi di artificio, per quell’ anno particolarmente invitante in quanto era stata indetta una gara fra due fuochisti, con premio finale.
Ci accodammo alla folla per raggiungere il posto dal quale potere osservare, nel modo più agevole lo spettacolo pirotecnico, con la banda che seguiva suonando una allegra marcetta.
Seguendo l’esempio di molte altre persone, ci sistemammo nella parte alta del paese, quasi alla periferia, sulla SS 110, molto capiente e per niente trafficata data l’ora, e anche perché, a quell’ epoca, il traffico veicolare era quasi inesistente.
Cominciò la serie degli spari e ad ogni botto il cielo si riempiva di una miriade di stelle di mille colori che scendevano giù tra gli applausi della gente entusiasmata e divertita dallo spettacolo, mentre la banda, con molta discrezione, continuava a suonare allegramente.
Nessuno poteva mai pensare a quanto, da lì a poco, sarebbe successo.
Se ne sentì il botto dell’avvio, se ne vide la scia del volo verso l’alto, ma non la cascata di luci e colori che rimasero chiusi nel grembo di quell’ ordigno maledetto.
I secondi passavano lenti e silenziosi; e, in contemporaneità con la gente spaventata che, intuendo l’imminenza del pericolo, si mise a fuggire alla ricerca di un riparo, urlando disperatamente, rivolto ai miei amici, gridai: “scappiamo ché ci cade sulla testa”. “Adavieru “(davvero) mi fece eco Gabriele.
Cercai riparo nel vano della porta di una casa vicina che si trovava alle mie spalle.
La porta in cui l’Avv. Elio Gambino ha trovato riparo la sera della tragedia dell’ 11 Ottobre del 1959 a San Nicola Da Crissa.
Il tempo di arrivarci, che sentii un assordante boato, e i vetri della butta lume che mi cadevano addosso.
Mi girai verso la strada e vidi, alla distanza di pochi metri, una immensa colonna di fumo nero e di fuoco che si alzava lentamente verso l’alto.
Con Enzo e Gabriele ci guardammo scossi e incapaci di aprire bocca.
Strazianti invocazioni di aiuto, grida di dolore, lamenti da ogni parte della strada, inaspettatamente diventata simile ad un campo di battaglia dopo l ‘ ultimo assalto.
Corpi distesi per terra, accavallati fra loro, sporchi di sangue, con i vestiti ridotti in brandelli… e intorno, come una cappa opprimente, la disperazione di coloro che, In tanta tragedia, cercavano il volto di un parente, di un amico, di un conoscente….
Mi sono ricordato dei miei fratelli con i quali ci eravamo lasciati all’ uscita dal bar. e mi misi alla loro ricerca, facendomi strada, scavalcando quei corpi distesi sull’ asfalto, improvvisamente divenuto un triste insieme di giacigli di angoscia e sofferenza.
Prestai la massima cura per non urtarli.
Avevo percorso quanti metri non riesco a dire, quando, adagiato per terra e sulla mia sinistra, vidi il corpo di un uomo.
In un primo momento, pensai si trattasse di quel mendicante che, durante le feste paesane, era solito sdraiarsi sui gradini della chiesa a chiedere l’elemosina, ostentando una malformazione ad entrambi i piedi ma non era lui.
La persona di cui parlo, era appoggiata sui gomiti, quasi seduto sulle cosce: aveva entrambe le gambe tranciate di netto all’ altezza delle ginocchia.
Era come assopito. Ci guardammo negli occhi, e mi resi subito conto che, data la situazione, non potevo prestargli alcun aiuto, e provai un senso di colpa per non averci almeno tentato: mi allontanai sentendomi addosso il suo sguardo che mi seguiva.
Mi addentrai in quel via vai di gente che si prodigava a prestare soccorso, trasportando a braccio i feriti verso la casa ambulatorio dell’ufficiale sanitario dottor Vincenzo Tromby, lontano un centinaio di metri dal luogo dove era avvenuto lo scoppio.
Giunsi al bivio tra la via Fiorentino e la via Roma. Fu lì che mi imbattei in un amico di Serra, Peppino Spaghetto, al quale domandai se avesse per caso, visto i miei fratelli. Mi rispose di no, aggiungendo anche di stare …. tranquillo …. che “fra quei corpi, non c’ erano”.
Ritornai indietro ripercorrendo lo stesso tragitto, e ripassai davanti all’ uomo con le gambe mozzate: alcuni dei volontari – in tanti!! – gli si stavano attorno; e me ne rallegrai, uscendo dalla sensazione di torto in cui mi sono venuto a trovare per non avere, quanto meno, tentato di soccorrerlo.
Da lì a poco ci incontrammo con i miei fratelli e Pino Jellamo, visibilmente preoccupati per la mia sorte e per quella di Gabriele ed Enzo.
Ci dissero che, assieme ad altri, per assistere meglio allo spettacolo, si erano spostati sulla strada di Capistrano da dove avevano visto scoppiare la bomba, angustiati, per quanto avrebbe potuto esserci accaduto.
Quando Sharo, il giorno dopo, rientrò all’ora di pranzo, ci comunicò che a causa dello scoppio vi erano stati cinque morti, fra cui Tota La Face e il marito Pasquale Martino, i due cari amici con i quali, la sera precedente, ci eravamo intrattenuti sulla piazza di San Nicola da Crissa.
Molti anni dopo, ricordando l’ avvenimento con Nicola Alberto Galati, cugino di mia moglie, feci cenno alla persona che avevo visto stesa sull’ asfalto priva delle gambe; mi disse che si trattava dell’ amico Pasquale Martino morto nel mentre , adagiato su di un camioncino unitamente alla moglie e ad altre persone gravemente ferite, veniva trasportato all’ Ospedale di Pizzo, ( quello più vicino ), lamentandosi di non sentire più le gambe. Anche la moglie morì nella stessa circostanza.
Un altro sannicolese, Stefano Galati, cessò di spirare mentre era a bordo di una delle autovetture che alcuni privati avevano messo a disposizione per trasporto di feriti.
Nicolino Galati mi disse pure che, in poco tempo, nelle stanze della casa – ambulatorio ( dove lui e suo fratello Ninì medico da poco, erano accorsi , assieme ai tanti volontari, per dare aiuto al dott Vincenzo Tromby, medico Ufficiale sanitario del paese ) non vi era più spazio per nuovi ricoveri, tanto che vennero utilizzati anche gli scantinati della casa; né c’ era sufficiente materiale sanitario per fare fronte a quella immane ed improvvisa tragedia : la gente del vicinato accorreva anche con le lenzuola di casa per ricavarne bende da fasciare i feriti; addirittura , ricorda Ninì Galati, “ ho dovuto fare ricorso alla mia cravatta per fermare l’ emorragia alla gamba di Ersilia Zambrano”; promessa sposa a Marchese Tommaso, stavano assistendo insieme allo spettacolo, ma quel maledetto ordigno li separò per sempre.
Un giovane apprendista meccanico della vicina Maierato, Gregorio Costa, aveva raggiunto San Nicola a bordo del proprio scooter acquistato pochi giorni prima … Nemmeno per lui la morte ha avuto pietà.
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La domenica successiva, ad iniziativa dei serresi che avevano partecipato alla festa, nella Chiesetta di Santa Maria del bosco a Serra San Bruno, fu celebrata una Messa per le Anime benedette dei defunti, e per ringraziare i Santi per averli protetti in quel tragico evento.