Girando per internet, l’occhio m’è caduto sulla foto di questo motocarro pieno di oggetti, di un venditore ambulante. All’improvviso quanti ricordi!
Fino ad una ventina d’anni fa i supermarket non erano molti e quello che serviva per la casa si comprava quasi sempre al mercato o quando si saliva a Vibo dove c’era più scelta. A qualsiasi ora del giorno, però non mancava mai l’eco del venditore di turno che col suo furgone, motocarro o auto, non offrisse la sua mercanzia. La mattina potevamo sentire le grida dei venditori di pesce che arrivavano da Bagnara e Pizzo e molti venditori di frutta e verdura. A dire la verità, molti, la verdura se la coltivavano da sè negli orti, ma qualcosa da comprare c’era sempre. Passavano poi, molti “marocchini” come li chiamavamo noi, con le vistose coperte caricate sulle spalle sia d’estate che d’inverno. Solo in seguito si sono attrezzati con carretti e carrozzelle da spingere, carichi di ogni ben di Dio di indubbia provenienza.C’erano i venditori di detersivi ed ogni tanto appariva una novità che incuriosiva tutto il vicinato.
Non era raro, infatti che ogni tanto sbucasse fuori qualche guardingo venditore tutto elegante che lasciava l’auto da qualche parte e girava per i vicoli ad offrire la sua speciale mercanzia:oro! Tirava fuori da valigette, catene, bracciali, orologi, interi set di posate di presunto argento massiccio, ed in poco tempo era capace d’attirare un capannello di donne curiose, ma sicuramente più scaltre di lui! Che io ricordi, mai nessuna vicina ha mai comprato nulla, per paura che si trattasse di merce rubata o piuttosto falsa.
Una o due volte l’anno arrivavano anche “i Napulitani”. Loro vendevano corredo ed arrivavano con un bel furgone carico di ogni ben di Dio che avrebbe ammaliato gli occhi di qualsiasi sposina alle prime armi. Non le nostre mamme. Loro avevano l’occhio fino. Capivano subito se era roba buona o di scarsa qualità, ma qualche piccolo affare lo facevano sempre. Era uso, infatti, per chi aveva figlie femmine, preparare il corredo sin da piccole “a cincu”, a “diaci”, a “dudici”, a “vinti”, le più facoltose! Significava preparare cinque, dieci,ecc, coperte, tovaglie, asciugamani e così via. Più si poteva fare, meglio era, per non fare brutta figura con le future suocere delle figlie. Si prevedeva sempre qualche capo più prezioso e poi la roba più “giornaliera”, come la chiamavamo. Molte di noi ragazze sapevamo ricamare e fare l’uncinetto e così le mamme compravano spesso delle intere pezze di “trusciu”, cioè tele intere di stoffa per lenzuola e tovaglie da usare a nostro piacimento. Ricamate ed abbellite con pizzi, diventavano preziosi ed originali per ognuna. Erano i lavori di cui andare fiere davanti alle suocere col famoso: “l’ho fatto io!”
Il venditore più curioso di tutti, andando un pò indietro nel tempo, a quando ero ancora bambina, era “U capillaru”. Era una strana vendita la sua perchè piuttosto usava barattare ciocche di capelli con i suoi oggetti. Allora le nonne e le mamme, ma soprattutto noi bambine, portavamo i capelli lunghi.Loro, raccolti a crocchia intrecciata sul capo ed ogni volta che si pettinavano, qualche capello rimaneva sempre nel pettine. Non si buttava! Andava a finire in una bustina, in una scatolina, “po capillaru”. Il bottino aumentava vistosamente quando a noi bambine, spuntavano le frangette o ce li accorciavano per farli irrobustire…dicevano. Quante belle trecce sono cadute sotto le forbici! La voce che circolava sul “capillaru” era che lui vendeva i nostri capelli per fare le parrucche, altri dicevano che servivano per le bambole. In realtà non abbiamo mai saputo dove finivano i nostri capelli!
Quando il “capillaru” arrivava, col suo motocarro stracarico, portava sempre qualche novità. Oggi diremmo che erano tutte cineserie, perchè infatti, era proprio quella merce che cominciava a varcare i nostri confini. Rigorosamente tutto di plastica. Bicchieri, colapasta, ciotole, portasapone, bidoni, secchi ecc.Lui esperto soppesava i capelli e decideva cosa dare in cambio. Le donne se erano contente dello scambio, prendevano e se ne andavano, altre curiose aspettavano di vedere lo scambio della vicina. Spesso, non erano contente del baratto e per ripicca non glieli davano aspettando di raccoglierne un pò di più per la prossima volta con la speranza di prendere qualche oggetto più utile. Il venditore cercava sempre di accontentare tutte, perchè era il suo lavoro e non voleva sicuramente tornare a mani vuote. Spesso accomodavano con l’ aggiunta di poche lire per equilibrare il prezzo e tutti erano più contenti. Naturalmente, noi bambine eravamo felici quando le mamme prendevano qualcosa per noi: mollettine per i capelli, qualche giocattolino, penne per la scuola…
Anche questi momenti facevano parte della coralità paesana, come la chiamo io. Tutto il vicinato sapeva quello che si faceva, che si comprava, che si decideva…Chissà se da qualche parte esistono ancora “i capillari” coi loro motocarri stracarichi di curiosità allora… robetta, oggi…
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