Nell’ articolo precedente di questa rivista abbiamo raccontato dell’uccisione del Generale borbonico Briganti, avvenuta a Mileto il 25 agosto del 1860 per mano dei suoi soldati e dell’arrivo di Garibaldi in paese il 27 agosto successivo.
Del passaggio dei garibaldini per Mileto non si trovano tracce nell’archivio del Comune poichè fu distrutto da un incendio nel 1910. Molti episodi sono stati riportati dal compianto Mons. Vincenzo Luzzi ( già Direttore dell’Archivio Storico Vescovile di Mileto) che li ha tratti dall’Archivio del Seminario . Da lui apprendiamo che il vescovo dell’epoca, Mons. Filippo Mincione, temendo il peggio, si era allontanato da Mileto fin dal 10 agosto, ufficialmente pe’ i bagni di acqua marina nel casino di Bisogni,non lungi da Pizzo, ma in verità perché aveva appreso dal generale borbonico Melendez, di passaggio per Mileto, “lo stato critico delle cose”. ( Vincenzo Luzzi: “L’arrivo dei garibaldini…” ne’ Il Normanno- rivista bimestrale dell’Istituto Omnicomprensivo di Mileto , anno 7 ,n.13 ). Anche i pochi borbonici arrabbiati si chiusero in prudente silenzio e parecchi,per timore di rappresaglie, si rifugiarono in paesi vicini presso parenti ed amici ,( C.Naccari :Cenni Storici intorno alla città di Mileto , tip. Il Progresso Laureana di Borrello 1931).
Ha riferito ancora mons. Luzzi che “nella mattina del 27 agosto giunsero a Mileto 300 garibaldini con 50 membri dello Stato Maggiore del Generale Cosenz. Successivamente se ne presentarono altri cento con 11 ufficiali .Altri 32 soldati della truppa arrivarono nella notte.Erano affamati e assetati di acqua e di vino.Furono accolti e rifocillati con rum e caffè.Gli ufficiali consumarono 25 rotoli di carne ,12 rotoli di pasta,10 galline arrosto,5 rotoli di formaggio,pomodori,frutta e uova, con vino sei bottiglioni di quartucci e 7 e mezzo in quartucci quaranta cinque e grana 20.Alla truppa si dava pane, formaggio e vino, mentre per tutti furono ingaggiati quattro uomini per tirare acqua dai pozzi e dare da bere alle truppe che passarono”, essendo state rotte le condutture della fontana. Di Garibaldi si evita di parlare nelle carte del seminario annotate per il resto con meticolosa precisione dall’economo don Girolamo Cananzi,il quale,tutto preso dal compito di registrare il formaggio,il vino e i viveri che sparivano dalle dispense e dalle cantine del Seminario,ignorava la presenza dell’Eroe.In effetti egli diede conto della presenza dello Stato maggiore del Generale Cosenz,che era ospitato nel Seminario,mentre non menzionò Garibaldi che si trattenne nella baracca vescovile per pranzare. Una fonte orale radicata negli anziani del luogo, riferisce che Garibaldi non gradì essere ospite della baracca vescovile e prese come pretesto la presenza di pulci per accamparsi sotto un grande albero di gelso. Ma questo- a parte il fatto che la presenza dei fastidiosi insetti era tutt’altro che rara a quei tempi- potrebbe spiegarsi anche con il temperamento semplice e spartano di Garibaldi. Egli, un paio di mesi dopo,quando il suo quartier generale si trovava nella magnifica Regia di Caserta, continuava a lavarsi da sé la camicia e a dormire su una manciata di paglia con la sella per cuscino. Quanto alle pulci, Garibaldi sapeva benissimo che il Vescovo Mincione non gradiva la sua presenza nella sede vescovile, e non è escluso che per questo il Generale avesse in odio di rimanere nella casa del Vescovo,essendo anticlericale.
Questo accenno al temperamento di Garibaldi mi spinge a soffermarmi-sia pure brevemente- sulla sua figura.
Può darsi che il seguito di Garibaldi, com’è avvenuto nel corso della storia per alcuni grandi personaggi, si sia preoccupato di amplificare le sue gesta, di creare un culto della personalità, curando la sua immagine di uomo eccezionale per capacità strategiche, coraggio, onestà,sopportazione delle fatiche e quasi invulnerabile ai colpi del nemico.
E’ quanto mi è parso di cogliere in una lettera, scritta dopo l’unità d’Italia da un corrispondente di Benedetto Musolino- importante uomo politico del risorgimento meridionale, nato e vissuto a Pizzo Calabro- nella quale si diceva che il 29 agosto 1862 l’eroe non era stato ferito da un colpo di fucile , in Aspromonte, ma era caduto da cavallo durante un’azione militare e si era procurato una ferita . Come si ricorderà l’unità d’Italia non era stata completata e Garibaldi, di sua iniziativa, contro la volontà di Vittorio Emanuele e del Rattazzi, si era mosso verso Roma al grido di “Roma o morte” : in Aspromonte fu intercettato dall’esercito italiano ed arrestato dopo il ferimento.
Quanto sia frutto di verità questo scritto-che ho avuto personalmente l’opportunità di leggere- non è dato sapere. L’argomento è stato affrontato dagli studiosi di cose garibaldine che, evidentemente, hanno ritenuto veritiero l’episodio del ferimento per mano dei soldati ; sempre suggestiva resta l’immagine di Garibaldi- disteso su una lettiga, con una gamba vistosamente avvolta in bende di tela bianca. Ma anche ove si fosse trattato di caduta, e non di ferimento, non per questo la figura dell’eroe e il ruolo avuto nell’unificazione d’Italia sarebbero sminuiti.
Aperta questa parentesi-parecchio problematica e impegnativa- e richiamando con la mente il ritornello della famosa filastrocca, cantata tra i banchi di scuola dalla passata generazione… : “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba, Garibaldi che comanda ,…che comanda i suoi soldà “…. ritorniamo alla nostra storia.
Il passaggio per Mileto dei garibaldini che nel frattempo,secondo una stima, sarebbero diventati diecimila, durò dieci giorni e ,tutto sommato- dice Mons. Luzzi-essi passarono ordinatamente,anche se nei registri del Seminario è annotato che: “stante il passaggio delle truppe vi fu un’esterminio… nell’orto e nella vigna del Seminario con le patate rubate dalle truppe e da naturali di Mileto”.
In totale il seminario sborsò per i Garibaldini 145,72 ducati, mentre le truppe borboniche erano costate 138,28 ducati,somme enormi per i tempi. Anche i miletesi dovettero sopportare in quei giorni “la pesante ,dolorosa e spendiosa croce”, come dice l’economo don Gerolamo Cananzi,perché non tutti i soldati si riversarono nel seminario e, anche le famiglie di Mileto furono obbligate ad ospitare e sfamare la truppa di passaggio. A ricordare il passaggio di Garibaldi da Mileto rimane una lapide,posta su una casa lungo il Corso Umberto I e, fino a qualche decennio fa, era visibile il ceppo del gelso che aveva accolto sotto la sua grande chioma l’Eroe dei due mondi.
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