Tra i pochi anziani rimasti nel paese di Nardodipace è ancora viva l’idea ed il ricordo degli antichi racconti fatti dai loro avi, sul furto della campana al Santuario di Crochi. Furto avvenuto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Anche nei miei ricordi di bambino vi sono impressi commenti e ricordi di quelle persone, tra cui i miei nonni, i quali spesso mi parlavano di una campana rubata dai loro antenati. Dialoghi e rapporti intergenerazionali che consolidavano i legami ed vincoli parentali, i quali, a loro volta confermavano la storia ed aiutavano il pensiero e le storie ad attraversare il tempo e le generazioni, depositandosi e stratificandosi come polvere sulla superficie dei ricordi. Non esiste più nulla! Non solo perché le alluvioni, l’emigrazione e la mancanza di valide prospettive economiche, hanno modificato l’assetto demografico e socio-culturale del paese, ma anche perché l’evoluzione in atto nella società in generale ha cambiato il rapporto tra l’uomo e la società e, viceversa. Oggi, quindi, non sarebbe più possibile ascoltare i frammenti di storia e di storie, a volte distorte, sfumate e confuse che affondavano nella nebbia del tempo e della memoria. Racconti accesi nella fantasia di bambini, davanti al focolare nei piovosi giorni di autunno, o sui gradini dell’uscio di casa negli assolati giorni di estate. Fantasia che si muoveva lungo i binari del tempo, per poi approdare sulle ali della saggezza di una vita vissuta. Era facile, per noi bambini, spinti dal calore umano di quella gente, librarsi in volo, nel cielo della memoria. Gli eventi, i fatti, ed a volte le leggende che dominavano i ricordi di quelle genti, come ancore di riferimento, riaffiorando, oggi, alla luce della storia, attraverso le letture attente (vedi le “Pietre di Nardodipace”) non più come leggende, ma come processi storici, in funzione di presenze antropologiche remote, ci hanno permesso di rivalutare quelle “storie” e questo territorio. E, molto ancora si potrebbe fare se venisse meno quel senso di auto distruttività sociale, del prevalere di spinte individualistiche, di cui questo paese è fortemente impregnato, ma anche dal ridimensionamento del dominare la scena di fantasie ….. fantasmagoriche. Così, rovistando nelle cassepanche dei nostri antenati, rivisitandole in chiave moderna, troviamo le ragioni e gli stimoli per capire la nostra storia e cercare una identità comune, nella prospettiva di un processo di sviluppo socio-economico e culturale. La vicenda della campana rubata da un gruppo di nardodipacesi, al Santuario di Santa Maria di Crochi, va inserita anche in questa ottica: una prospettiva di conservazione, questa volta, però, non come memoria del fatto, ma come patrimonio storico e materiale da salvaguardare. Un auspicio, una speranza, legati al flebile filo dell’intelligenza. Di tutti. Riaffiorati alla mente i racconti ed i momenti vissuti a causa della ricerca per la preparazione del mio libro, e quindi incuriosito dal fatto che si potesse smontare una campana dal campanile e portarla da Crochi a Nardodipace, soprattutto in quelle strade ed in quel periodo, mi portò a chiedere spesso, in giro tra gli anziani, nonostante il mio scetticismo di fondo. Molti non sapevano rispondere, invece, alcuni confermavano, secondo loro, il furto. Comunque era opinione comune, che se la campana fosse stata rubata, era la seconda sostituita nel 1973, non quella del “mortorio,” che ancora c’è. Una campana del 1607, con una croce bizantina impressa in rilievo ed il segno di appartenenza a quel Santuario. Recentemente, in occasione, appunto, della ricerca per questo libro, ho voluto accertami, scoprendo con mia grande sorpresa che la campana era lì, davanti a me; ricca di significati, di storia e bellezza. Con i suoi segni identitari, impressi dalle abili mani di un artigiano del tempo, mosse dalle ragioni di una cultura religiosa lontana, ma a noi tanto vicina. Fu una emozione grande, e la memoria, in un flash vorticoso, tornò indietro nel tempo, rivisitando situazioni e momenti in cui, seduti sui gradini della piazzetta sottostante, del “Campanaro,” ascoltavo i racconti di quelle persone, nonché al focolare di mia nonna, quando, nelle fredde, buie e piovose giornate d’inverno, mi raccontava, assieme a mio nonno, delle storie, delle leggende e, della storia di questo paese.
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