Mi accingo a narrare una vicenda storica che per la sua singolarità merita di essere ricordata dal popolo di Serra San Bruno. Essa coinvolge tra le sue pieghe il vescovo di Squillace mons. Raffaele Morisciano e tutti i sacerdoti della Cappellania della chiesa Matrice di Terravecchia. Mette in risalto la tendenza ai favoritismi personali da parte di prelati che, per la loro carica e posizione, avrebbero dovuto mantenere un comportamento imparziale. E mette in risalto, altresì, l’ambizione e la vanità dei sacerdoti serresi che, pur di raggiungere i loro obiettivi, non esitavano a mettere sotto i piedi la carità cristiana e i precetti religiosi, dimenticandosi di essere seguaci di Cristo ed educatori del popolo. Tengo, comunque, a precisare che di tutto questo non c’é da farsi meraviglia, ne’ tantomeno c’é da scandalizzarsi perché i tempi non erano certo facili e ognuno doveva farsi spazio nella vita come meglio poteva e con le armi che possedeva. Dio misericordioso sicuramente dall’alto comprendeva e perdonava tutti.
A Serra San Bruno le vocazioni sacerdotali non sono mai mancate. L’ ‘800 può considerarsi il secolo piu’ proficuo, tanto che in paese officiavano in media tra i 20 e i 35 sacerdoti, dislocati alla bisogna tra la chiesa Matrice di Terravecchia e quella di Maria Vergine Assunta del quartiere Spinetto. In un tale affollamento era naturale per un prete andare in cerca di cariche onorifiche che gli consentivano di avere una certa supremazia sui colleghi e di aumentare i propri introiti finanziari.
Nel 1874 facevano parte della Cappellania della Chiesa Matrice di Terravecchia ben dodici sacerdoti i quali indossavano come segno distintivo di questa onorificenza la papalina e il mozzetto di color violaceo. Accadde che il 4 marzo di quell’anno passò a miglior vita uno di loro: un certo don Giuseppe Giancotti il quale, morendo, lasciò libero un posto nella Cappellania. Tale posto spettava di diritto al sacerdote don Domenico Rachiele che, proprio in quel periodo, si trovava a Monterosso per un ciclo di predicazioni in occasione della Quaresima. Successe che, inaspettatamente per tutti, si fece avanti per chiedere la carica di Cappellano un sacerdote della chiesa di Spinetto, certo don Luigi Anastasio, rettore di quella medesima chiesa. Quest’ultimo portava a suo favore quanto stabilito dal Capitolato del 1805, stilato tra il clero della chiesa matrice ed i sacerdoti dimoranti a Spinetto, alla presenza del priore della Certosa don Gregorio Sperduti e di mons. Tommasini, vescovo di Oppido, venuto a Serra per mettere pace tra le due fazioni e fissare regole di comportamento che prevedevano l’uguaglianza tra i sacerdoti di Spinetto e quelli di Terravecchia.
Sta di fatto che il reverendo Anastasio, sapendo che avrebbe trovato ferma opposizione da parte della Cappellania di Terravecchia, si rivolse direttamente al vescovo di Squillace, S.E mons. Raffaele Morisciano il quale, prima di prendere una decisione, consultò sull’argomento un altro sacerdote serrese, don Bruno Maria Tedeschi, che il quel frangente capitò a Squillace sempre per via delle predicazioni della Quaresima. Mons. Tedeschi spiegò al vescovo Morisciano che don Luigi Anastasio, essendo un sacerdote della Chiesa di Spinetto, non aveva diritto a vestire la papalina e la mozzetta violacea e ricordò al prelato che i sacerdoti di quella Chiesa, al momento dell’istituzione della Collegiata della Chiesa Matrice, avevano rinunciato a far parte della Cappellania per evitare l’obbligo di partecipare in tutte le domeniche e feste comandate a prendere parte alla recita dell’Ufficio davanti la statua e le reliquie di San Bruno, che in quel tempo si trovavano custodite nella chiesa Matrice in quanto la Certosa era stata chiusa dal 15 maggio 1808 a causa della rivoluzione francese. E, poiché il reverendo Anastasio, per far valere le sue pretese, richiamava quanto sancito nel Capitolato del 1805 alla presenza del priore Sperduti, don Bruno evidenziò che la Chiesa Matrice dal 1827 non dipendeva più dal Priore della Certosa ed era stata elevata a Chiesa Arcipretale Protopapale dal vescovo di Gerace, mons. Pellicano.
Intanto don Domenico Rachiele, legittimo erede della carica di Cappellano, di ritorno da Monterosso, fu informato delle trame di don Luigi Anastasio e del suo tentativo di usurpargli la carica. Don Rachiele andò su tutte le furie e, chiamato in disparte il reverendo don Giuseppe Salerno, che all’epoca rivestiva la carica di economo curato, lo apostrofò con queste testuali parole: “Ho saputo che voi ed il R.ndo Anastasio, mi state facendo un bruttissimo giuoco, ma vi la farò pagare troppo cara: appresi che ambidue, avete e state intrigando presso Monsignore, a non dare il doppio Mozzetto disponibile per disgrazia del fu R.ndo D. Giuseppe Giancotti, a me, che ho portati i pesi e mi spetta per diritto, ma bensì al R.ndo Anastasio per vie d’intrighi e cavillosi sofismi. Sappiate, che qualora, voi riuscirete a farmi un tradimento, co’ vostri maligni disegni, mi basterà il coraggio a tagliarvi le viscere in pubblica Chiesa e ricordarvi del mio nome.” La minaccia di morte era stata fin troppo chiara e sicuramente il povero curato non tralasciò di rifletterci molto sopra, tanto che si affrettò a riassicurare don Rachiele che lui nella questione non centrava niente e che avrebbe scritto al vescovo per perorare la sua causa. Sta di fatto che, grazie ai consigli dati al vescovo da don Bruno Maria Tedeschi e grazie anche alle minacce fatte al curato, don Domenico Rachiele ricevette la carica, sancita con una bolla del vescovo e giunta a Serra tramite corriere nel mese di giugno di quello stesso anno. La sera della Vigilia della festa di San Pietro nella chiesa Matrice si fece festa grande. Don Rachiele e’ stato ufficialmente insignito della carica di Cappellano ed ebbe l’onore di indossare la papalina e la mozzetta violacea, proprio com’era suo diritto. Il cronista riferisce che in quella occasione il popolo serrese fu molto contento, tanto che quella stessa sera si fece nella sagrestia della chiesa un gran festino con tutti i ristori per i partecipanti e con tanti auguri di felicità per don Rachiele il quale aveva ottenuto a giusto merito quello che voleva.
Ma la cosa non è finita qui perché il reverendo Anastasio non ingoiò l’affronto fatto alla sua persona e il giorno dopo… (segue nella seconda parte)