L’anno, appena trascorso, il 2014 è stato l’anno, si potrebbe dire, giubilare per San Bruno e la sua città che lo ha sempre amato e venerato, Serra San Bruno custode gelosa della Certosa che accoglie le sacre reliquie del Santo. Infatti, in questo anno di grazia, sono stati celebrati i cinquecento anni della beatificazione del Santo Patriarca ed i cinque secoli del ritorno dei frati certosini nel sacro convento serrese dopo un’assenza di ben poco più di tre secoli. Il 16 dicembre 1513 Leone X con propria Bolla sopprimeva l’abbazia cistercense dopo che nel 1192 la Certosa, per approvazione di Celestino III era stata affidata ai monaci di Citeaux di Calamari per finire, poi, in Commenda agli inizi del XV sec. Al decreto di Leone seguiva l’exequatur del 4 febbraio per cui i Certosini, il 27 febbraio del 1514 riprendevano possesso della loro antica Santa Casa di Calabria. In questo anno giubilare, il 9 giugno, lunedì dopo la Pentecoste, è stato ricordato il ritrovamento delle venerate ossa, avvenuto tra il 1502 e il 1508, ossa nascoste al culto da quegli strani monaci cistercensi nella chiesetta del santuario regionale di Santa Maria del Bosco fondata fatta edificare da san Bruno col contributo di Ruggero il Normanno. Successivamente, il 19 luglio sono stati celebrati i cinque secoli di culto approvato da Leone X e riconfermato da Gregorio XV. In quel 19 luglio del 1514, infatti, dal Papa con un “oracolo di viva voce” il nostro Santo veniva beatificato con approvazione del culto all’interno dell’Ordine. Successivamente, con Decreto del 19 dicembre 1622, Gregorio XV deliberava la canonizzazione estesa a tutta la Chiesa universale. Sono due eventi di grande importanza non solo per Serra, per la Calabria ma per il mondo intero alla luce della valenza storico-spirituale del Santo.
1192 – 1514, 322 anni di silenzi, interrogativi. Tre secoli bui nella storia della Certosa detta allora di Santo Stefano di Serra. Bui volutamente? Perché i monaci serresi dovettero lasciare la Casa serrese dove dimoravano sin dalla fondazione e abbandonare la Tomba del loro santo fondatore? Perché il convento serrese fu affidato ai monaci cistercensi e non, magari, ad un altro Ordine? Quale arcano mistero indusse Celestino III ad operare tale scelta?
Insomma un muro di silenzio, o di omertà se volete, lungo tre secoli e mezzo. Finalmente questo muro di oscurità viene rotto o quanto meno intaccato con l’auspicio che possa definitivamente venir giù con ulteriori studi e nuove tecniche di ricerca che certamente non mancheranno, nel proseguo degli anni, all’Autore del lavoro d’indagine che andremo a studiare. È Lomorandagio, alias Gerolamo Onda da Serra San Bruno che ci offre questo documento prezioso che vuole essere “un pezzo di silenzio rubato alla vera storia”, dal titolo “L’Angelo di Sibilla” col sottotitolo “I templari, re Guglielmo III e il suo tesoro, nella Certosa di Serra San Bruno” edito in proprio, nel 2014, per pochi eletti amici e studiosi. Onda indaga su questo lungo tempo coperto da silenzi e interrogativi e lo fa con meticolosità e dovizia di particolari supportati da inconfutabili riferimenti bibliografici e soprattutto confortato da richiami tecnico-architettonici originari e ricostruiti che in un certo costituiscono testimonianza del tempo. Insomma l’amico Onda ha voluto indagare su fatti “avvenuti” ma non “spiegabili”.
Cosa è accaduto? In che consiste il mistero? È ormai acclarato che, addossata al muro perimetrale del complesso monastico, è esistita la residenza – fortezza estiva voluta da Ruggero I in quanto benefattore, si può dire, delle opere del Santo. E attorno a questo imponente edificio ruota l’indagine dell’Onda e la vicenda secolare circondata di mistero. In assenza dell’edificio fortificato non sarebbe accaduto nulla, ora possiamo dirlo.
La singolare storia prende avvio dalla strana idea, supportata dall’interessato Tancredi di Sicilia, dell’ottantacinquenne papa Celestino III che impose ai Certosini di lasciare la loro Casa ai Cistercensi per, udite udite, un “evento soprannaturale dell’eremo di Santa Maria della Torre dove i certosini, illuminati da ispirazione divina, erano propensi ad abbracciare la regola cistercense.” Quanta spudoratezza per nascondere le vere intenzioni, un “operazione segreta” secondo Onda. E già, bisognava salvare l’ultimo rampollo dei Normanni, Guglielmo III, dalle grinfie del despota e tiranno Enrico VI dei Barbarossa che stava occupando anche l’estrema regione italiana. La perfida idea, suggerita al papa, veniva da Sibilla di Medania, madre del piccolo, memore assieme al marito Tancredi dell’esistenza di una residenza fortificata, appartenuta all’antenato Ruggero, utile a nascondere l’infante in attesa di tempi migliori. E male che fosse andata c’era, inoltre, il castello di Stilo, altro possedimento normanno tra gli anfratti del monte Consolino. I tempi migliori sarebbero arrivati con la morte per avvelenamento di Enrico VI per mano di Costanza d’Altavilla sorellastra di Sibilla e moglie dell’imperatore. Al postutto, si chiederà il lettore: che c’entra tutto questo intrallazzo con la cacciata dei monaci di san Bruno? La presenza dei silenziosi e umili certosini sarebbe stata di ostacolo alla buona riuscita del piano; invece i cistercensi sapevano il fatto loro consapevoli come erano dell’appoggio della Curia romana. Così si spiega l’atteggiamento ostile dei frati di Citeaux i quali fortificarono ancor di più il convento serrese e il sito di Stilo, osteggiarono le visite dei pellegrini e, addirittura, nascosero la tomba del Santo per allontanare i fedeli. E non solo. Dei tre secoli di permanenza dei cistercensi non c’è traccia, nessun documento, assenza d’archivio. Perché? È ovvio, doveva rimanere tutto segreto fino all’ultimo giorno. In più, la più che probabile presenza dei Templari spiega tanto.
Mi fermo qui per rispetto dei lettori che vorranno leggere e gustare le tante curiosità storiche ancora presenti tra le altre pagine del libro. Di sicuro “L’Angelo di Sibilla” di Gerolamo Onda è una preziosa miniera di dati e informazioni utili a chi vorrà ulteriormente approfondire e comunque è davvero “un pezzo di silenzio rubato alla vera storia”