Il linguaggio elaborato dalla cultura neoclassica a Serra San Bruno, già presente in alcune costruzioni civili, viene adottato anche nella realizzazione del frontespizio della chiesa di Spinetto e rappresenta una congrua risposta alle forme dell’architettura barocca presente nelle altre chiese di Terra Vecchia. Il materiale di costruzione è ancora il granito, che caratterizza e individualizza l’ opera nel rapporto con il suo territorio.
La chiesa concepita, come si è detto, in stile neoclassico, si collega stilisticamente al Palazzo Tedeschi i cui elementi architettonici sono comuni all’edificio sacro.
La costruzione di Palazzo Tedeschi risale alla prima metà dell’ Ottocento e dà l’avvio ad un incisivo programma di qualificazione urbana. La sua costruzione si inserisce nell’ambito di un importante programma complessivo che prevedeva una “riedificazione” di tipo urbano secondo le modalità previste dal regolamento sull’ornato, diffuso in tutti i Comuni d’Italia già dal 1807, contenente tutte le indicazioni idonee ad apportare migliorie ai fabbricati che fronteggiavano le strade, comprese quelle riguardanti l’allargamento delle strade stesse o la creazione dei rettifili.
L’applicazione di questo regolamento, a Serra, fu molto efficace poiché consentì una riqualificazione urbana tramite il rinnovamento della facies esterna degli edifici, soprattutto di quelli che si trovano nel centro storico, compreso il frontespizio della chiesa di Spinetto.
Nel 1840 iniziano, per volontà dell’arcivescovo Bruno Tedeschi gli scavi delle fondamenta di Palazzo Tedeschi. Secondo alcune indicazioni riportate sul manuale del Vignola, di proprietà dei Pelaggi che ho avuto l’ occasione di vedere, il palazzo sembra sia stato progettato da Domenico Drago, che all’epoca aveva circa quarant’anni, aiutato e assistito dal padre Antonio.
Nel Manuale, si possono leggere alcuni appunti scritti a matita sotto un arco dorico, come ad esempio: “moduli per palazzo…”.
Con riferimento alle dimensioni e alle proporzioni dello stile dorico, seguono poi alcuni disegni a mano libera, che richiamano elementi architettonici del Palazzo Tedeschi.
Sebbene brani dello stile Neoclassico fossero già presenti a Serra sin dalla prima metà dell’ Ottocento e avessero interessato soprattutto l’accomodamento urbanistico del centro storico, la precisazione di un’estetica neoclassica prende avvio con la costruzione di Palazzo Tedeschi, con la nuova collocazione del cimitero fuori dell’abitato(1839), con l’importante iniziativa dell’architetto Giuseppe M. Pisani senior di istituire, nel 1882, una scuola di disegno per gli artigiani sovvenzionata dal Comune di Serra, con il cantiere per la realizzazione del frontespizio della chiesa di Spinetto e con l’apertura del grande cantiere, nel 1889, per la ricostruzione della Certosa su progetto dell’architetto dell’Ordine certosino Francesco Pichat.
Questi importanti lavori consentirono la formazione di valenti scalpellini locali, i quali daranno vita, nel paese, ad un continuum costruttivo in stile Neoclassico che si protrarrà fino alla seconda metà del Novecento.
L’ultima generazione di scalpellini locali, operanti nella prima metà del novecento ed in parte nella seconda, è stata rappresenta dai Pelaggi – Lo Moro – Mastropietro, autori di diverse opere in granito nel paese.
Costoro aprivano spesso dei cantieri dove si svolgevano corsi artigianali miranti ad insegnare ai giovani la tecnica della lavorazione del granito.
Direttore del cantiere spesso era l’artista serrese Giuseppe M.Pisani j.
Con la chiusura, in seguito, di questi corsi, per via della concorrenza industriale, che sostituì il manufatto artigianale, l’attività dello scalpellino lentamente si andò spegnendo e alcuni degli artigiani, tra i più giovani, come Gabriele Pelaggi e Biagio Lo Moro, tanto per citarne alcuni, furono costretti a prendere la via dell’emigrazione, mentre la morte dei più anziani chiuse definitivamente un capitolo che per tanti secoli (specialmente nel secolo scorso) tanto fervore di iniziative e di attività aveva prodotto a Serra.
Gli interventi effettuati, come l’ingresso monumentale del cimitero, il portale della canonica della chiesa Matrice, l’ingresso in granito del Palazzo Criniti (solo per citare le opere più significative), insieme a tutta una serie di portali di palazzi più nascosti all’interno del paese, come Palazzo Bifezzi, costituiscono la trama di riferimento per la vicenda neoclassica della cittadina calabrese.
Un codice classicista, comunque, era già presente a Serra San Bruno, costituito dalle chiese storiche di un barocco moderato che presenta elementi tipici della tradizione classica mitigati da un certo manierismo.
Si può parlare della presenza a Serra, di due poli, Barocco e Neoclassico, che si intrecciano e tra di loro tendono a sovrapporsi, testimoniando il dipanarsi dei fatti storici.
Le decorazioni interne, ad esempio, della chiesa dell’ Addolorata, sono state realizzate, nella prima metà dell’ Ottocento, secondo un gusto neoclassico da Domenico Barillari e Vincenzo Salerno.
Da una parte abbiamo Biagio Scaramuzzino, virtuoso del barocco manierato, e dall’altra la bottega dei Drago che con Biagio Pelaggi sono esperti conoscitori del manuale del Vignola, abili nel tradurlo in pratica e forniti di vis culturale non certo di tipo provinciale.
All’ eleganza morbida della facciata della chiesa Matrice e all’abile soluzione semiellittica della chiesa Addolorata dello Scaramuzzino, i Drago, con la chiesa di Spinetto, rispondono con la solidità concreta e stabile di un linguaggio colto, per così dire da manuale.
Insomma all’utopia del Barocco si risponde con la concretezza degli elementi neoclassici e con quella rigida geometria tutta interna alla disciplina architettonica.
A Serra sia l’architettura barocca che quella neoclassica possono essere circoscritte nell’ambito di un’autonoma e continua rielaborazione locale di architetti non professionisti, spesso capomastri che, servendosi di manuali di architettura rielaborano in continuazione, adattando al rigore della tradizione tutte le influenze esterne.
Il processo di ricognizione comunque è continuo nelle varie provincie italiane e i riferimenti stilistici non sono certo mancati, per poi essere rivisti, modificati e adattati all’autonomia della cultura locale, come é successo per le facciate sia della chiesa Matrice che dell’ Addolorata.
Ma, appunto, il riferimento alla cultura locale è la base da cui parte e si sviluppa il linguaggio architettonico della chiesa di Spinetto. Il riferimento al Palazzo Tedeschi ne è la prova più evidente.
Sia nel Palazzo Tedeschi che nella chiesa di Spinetto non c’è spazio per il “capriccio’” e la facciata della chiesa altro non è che un’ esatta e rigorosa ripetizione di parti e canoni storicamente fondati.
L’ architetto-scalpellino serrese non si negava all’invenzione, anche se quest’ultima veniva ridotta allo spazio delle possibilità combinatorie entro regole che andavano conosciute, studiate e puntigliosamente applicate.
Questo è quanto si deduce sfogliando il vecchio e più volte restaurato manuale del Vignola all’interno del quale sono segnati a matita tutti i calcoli proporzionali dei moduli classici.
Possiamo dire che dopo il barocchetto, come viene definito, a Serra, con la chiesa neoclassica di Spinetto, si assiste ad un “ritorno all’ordine” e a quel rigore dei canoni che può essere osservato soltanto con l’ imitazione degli ordini classici.
La tipologia formale neoclassica è stata dunque la più praticata dagli scalpellini serresi. Essi l’ hanno appicata a qualsiasi tipo di costruzione, dalla dimora privata al palazzo, dai monumenti alle chiese e ai portali.
Uno stile dunque molto elastico che non è mai mera ripetizione.
Manca tuttora un’ esatta e documentata ricerca filologica sui manufatti neoclassici presenti a Serra.
Alcuni progetti sono rimasti su carta, non attuati, mentre altri sono stati realizzati e sono presenti sia nelle chiese che nel cimitero cittadino.
Gran parte di questi disegni sono tuttora conservati e appartengono a famiglie serresi.
Nell’ambito della renovatio urbis,con le disposizioni governative sui cimiteri la “città dei morti” viene necessariamente separata dal contesto urbano e nel rettangolo e nel quadrato, compartiti a croce, si indicano le forme migliori da adottarsi.
A Serra sia le cappelle private che le chiesette costruite all’interno del cimitero(vedi foto) esprimono i tradizionali canoni di un’architettura neoclassica, insieme alla statuaria con i suoi canoni della “gelidità”, conformi alle disposizioni regie. “…Nei parterri incominciano ad innalzarsi delle cappelle gentilizie”: così scriveva il Sac. Bruno M. Tedeschi nel 1852 parlando del cimitero di Serra.
Nel cimitero l’uso di archittetture greche, come il portale d’ ingresso che sostituisce il muro primitivo, cede il posto ad un ingresso celebrativo e simbolico, che riflette il desiderio di collegarsi ad una cultura passata alla quale gli scalpellini serresi sentono di appartenere.
Lo stile neoclassico del cimitero(vedi foto) corrisponde ad una concezione di quest’ultimo come un servizio e per questo esso deve collegarsi con un certo status sociale e con un proprio gusto.
Il cimitero è dunque vicino alla “città dei vivi”, ad un modello dal quale non solo non si allontana, ma che invece viene unificato dalla fine dell’ Ottocento fino alla metà del Novecento.
Un unico linguaggio per due realtà compresenti : una caratterizzata dalla necessità di celebrare e l’altra di enfatizzare un momento storico.
Dopo il terremoto del 1783 l’artigianato serrese ha ripreso il lavoro con lo stesso spirito di un tempo e grazie alla sua capacità assimilatrice ha saputo esprimere, nelle sue chiese, il gusto decorativo del Barocco meridionale e le influenze del neoclassicismo vanvitelliano.
Diversi capomastri serresi si recavano a Napoli per studiare le architetture e molti di loro spesso frequentavano Scuole d’arte dove l’insegnamento era tenuto anche da maestri d’ oltralpe.
A Napoli, con l’aprirsi del secolo, forti erano le correnti del neoclassicismo che facevano capo all’Accademia di Belle Arti.
Essa ispirava tutti i manufatti artistici sia locali che delle province.
In Calabria questo stile giunse un po tardi per la tragica situazione in cui versava la Regione e per la povertà dei mezzi d’ istruzione.
Giungevano fino all’estrema punta della Calabria, per passare lo stretto rari esemplari di stampe francesi che riproducevano opere pittoriche del David insieme a ritratti e paesaggi dipinti da artisti stranieri, francesi o inglesi, che operavano a Roma o a Napoli.
Messaggi schietti del Neoclassicismo trionfante, rimasero purtroppo ignorati e inefficaci, in un periodo di assestamento dopo la catastrofica rovina del terremoto.
Attecchì invece, in un certo senso, il Neoclassicismo archiettonico nella ricostruzione delle maggiori città della Calabria come Reggio e Monteleone.
Catanzaro e Cosenza ebbero teatri ricostruiti con pronao greco-romano e quindi con forme schiettamente neoclassiche.
Serra aveva avuto in passato artisti e artigiani sui quali aveva influito il Seicento fanzaghiano per via dei lavori che questi aveva realizzato nella Certosa serrese e nel santuario di S. Domenico nella vicina Soriano.
Tutte le botteghe serresi, quelle degli intagliatori, dei forgiari, degli scalpellini, degli statuari, dei pittori, degli ornamentisti, degli armieri e degli argentieri riallacciarono i loro rapporti con quelle correnti artistiche che si identificavano con il Neoclassicismo.
La fase seicentesca fanzaghiana la possiamo dire guidata a Serra dalla bottega di Biagio Scaramuzzino che nelle sue progettazioni ne ripeteva moderatamente gli stilemi, introducendo qualche brano di quel Neoclassicismo vanvitelliano di cui lo Scaramuzzino sembra essere stato allievo partecipando alla realizzazione dello scalone della Reggia di Caserta.
A questa fase appartengono le chiese della Matrice, dell’Addolorata(vedi foto) e dell’Assunta di Terra Vecchia oltre a numerosi portali come quello Peronacci, con la bella fontana barocca antistante.
La fase neoclassica con il suo linguaggio schietto è guidata dalla bottega di Domenico Drago con la costruzione del frontespizio della chiesa di Spinetto.
Queste due botteghe erano legate, per alcuni aspetti, a concezioni architettoniche diverse.
Mentre la bottega dello Scaramuzzino muoveva dal Fanzago per giungere a brani vanvitelliani, la bottega di Domenico Drago si richiamava ad un Neoclassicismo più puro e privo di qualsiasi tipo di capriccio decorativo.
Il dibattito su Barocco e Neoclassicismo a Serra era molto sentito, com’ è dimostrato dalla vicenda del progetto della chiesa Matrice, affidato in un primo tempo a Biagio Pelaggi, nonno di quel Biagio Pelaggi autore del progetto della facciata della chiesa di Spinetto.
Il Pelaggi senior concepì la chiesa Matrice con un prospetto classico (vedi foto).
Se osserviamo infatti il suo disegno possiamo notare la presenza di rigorosi elementi classici dati sia dalla simmetria che dalla disposizione geometrica, essenziale e asciutta.
Sempre sullo stesso disegno possiamo notare come, in un secondo momento, e cioé quando al Pelaggi viene tolto l’incarico per essere assegnato a Biagio Scaramuzzino, alcuni e significativi elementi architettonici cambiano e sul disegno del Pelaggi vengono introdotti, tramite l’uso di un segno color seppia, elementi che vanno tutti nella direzione di quei “capricci”(volute ioniche con drappi, cornicioni con curvature verso l’alto e dai tratti spezzati, conchiglie di raccordo a spirale, fantasie naturalistiche con richiami allegorici, collocazione di angeli ai lati del frontone e statue poggianti sulle due navatelle) che il Pelaggi si era ben guardato dal proporre.
Infine i due campanili furono sostituiti da due balaustre tipiche della cultura artistica fanzaghiana.
E’ fuor di dubbio che i Serresi si riconoscessero maggiormente nella cultura artistica fanzaghiana, legata alla Certosa, che non nel linguaggio Neoclassico i cui precedenti erano costituiti soltanto da costruzioni civili come il Palazzo Tedeschi.
Del resto è noto che gli elementi classici, impiegati nella loro purezza, sono più tipici dei templi pagani e dell’edilizia civile che non di quella religiosa.
Il paese dunque si divideva in due gruppi artistici che tuttavia fino alla costruzione della chiesa di Spinetto collaboravano.
E’ con la chiesa di Spinetto(vedi foto) che le differenze tra queste due scuole si evidenziano in modo più netto.
La bottega del Drago si ispirava alla corrente vitruviana – classica e si contrapponeva alle tendenze tardo-barocche dello Scaramuzzino.
Sul piano formale l’espressione architettonica richiama il volume geometrico elementare di un monolite parallelepipedo con forte accentuazione verticale. Una severa solennità che purifica il manufatto dal superfluo.
Insomma un classicismo romantico-neogreco in stretto rapporto con gli ordini antichi.
La bottega dello Scaramuzzino la possiamo definire storicistica, poiché il suo linguaggio architettonico ignora la purezza formale dei volumi, che tende a mascherare nel pluralismo degli stili storici e nelle loro svariate combinazioni.
Il Drago adotta una forma costruttiva semplice, riduce il numero degli elementi e concepisce le superfici esterne lisce e scarsamente articolate.
Se per lo Scaramuzzino il referente è Napoli (e quindi adotta un manierismo dinamico), per il Drago il referente è Roma, luogo del neoclassicismo per eccellenza.
La riproduzione con precisione archeologica dei dettagli, effettuata nel cantiere con l’uso del granito, ci riporta allo studio dell’antico come si effettuava a Roma. Uno stile quindi, quello della chiesa di Spinetto, che possiamo definire dorico-romano fatto di semplicità e proporzioni lineari.
L’adozione di forme geometriche elementari (quadrato, cerchio, triangolo) è alla base della struttura formale della chiesa di Spinetto.
Esse ne dominano la concezione architettonica.
L’uso contenuto degli elementi architettonici come le lesene in rilievo sulla superficie del piano inferiore e del piano superiore, oltre che a farne risaltare i valori tonali, rivestono una funzione strutturale poiché, disposte agli angoli come se fossero delle paraste, consolidano gli spigoli della costruzione.
La stessa cosa possiamo notare nel Palazzo Tedeschi,(vedi foto) dove le paraste contribuiscono all’articolazione ritmica della facciata e rinforzano e consolidano gli angoli dell’edificio, che si presenta anch’esso nella forma elementare di un parallelepipedo.
La graduazione dei giunti del profilo rustico dello zoccolo fino all’altezza dei primi balconi ricorda il palazzo rinascimentale, mentre la chiesa di Spinetto, con il suo frontone triangolare, richiama i templi antichi.