Tra gli inizi dell’Ottocento e le prime decadi del Novecento esisteva a Serra quella che oggi definiremmo una vera e propria zona industriale. Ubicata a ridosso dell’abitato, si estendeva lungo il corso dell’Ancinale e del Carusi. Qui le officine dei fabbri si alternavano alle segherie ad acqua le cui ultime testimonianze furono spazzate via dall’alluvione che nella notte del 21 novembre 1935 sconvolse Serra e il suo territorio.
Nell’Ottocento le officine avevano acquisito discreta notorietà grazie a un prodotto, il lettino, che secondo i dati ufficiali risultava largamente esportato in tutto il Regno. Le cronache delle Due Sicilie attestano che i lettini erano prodotti “con pari industria che eleganza”. Infatti, relativamente all’epoca di produzione, erano un concentrato di design e tecnologia. In funzione della facilità di trasporto erano del tutto smontabili, costituiti ognuno da non più di dieci singoli pezzi. Le due “trabacche”, cioè le due testate, pur nella loro ripetitività erano veri e propri pezzi unici. Non esistendo ancora la saldatura elettrica, erano assemblate mediante ribattitura di anelletti e, in qualche caso, la tenuta era garantita da piccole e rudimentali viti. Le testate erano concepite in modo da essere aggrappate a quattro piedritti e questi, nella parte superiore, avevano perni per l’alloggio dei pomoli d’ottone. Al centro di ogni piedritto una cavità di sezione quadra era destinata al longherone alle cui estremità sporgevano due perni filettati che, infilati nei piedritti, venivano serrati da dadi quadrati. Su tale scarna struttura, giusto a cavallo dei longheroni, erano appoggiati due arcarecci trasversali su cui, non esistendo ancora le reti metalliche, si stendevano tavole destinate a sorreggere un basso pagliericcio di crine. Su quest’ultimo si appoggiava il materasso di lana di cui, almeno i più anziani, dovrebbero ricordare la annuale, casalinga operazione estiva di cardatura dei fiocchi.
Ogni buon fabbro si sbizzarriva a inventare varianti di forma e, per le rifiniture, tutti utilizzavano una speciale vernice colore oro ottenuta da una miscela “segreta” che nell’Ottocento contribuì non poco alla fama dei prodotti serresi. Rispetto alla concorrenza i manufatti serresi risultavano più leggeri e, dunque, più facili da trasportare e conservare. Fino alle ultime decadi dell’Ottocento si utilizzavano sezioni quadre e rettangolari: in pratica quelle prodotte a trafila da due macchine, il “Distendino” e la “Macchina Tiraferri”, attive nelle officine annesse alla Fonderia di Mongiana. La prima era ubicata nella ferriera Santa Teresa e la seconda, un vero e proprio laminatoio entrato in funzione intorno al 1840, nella ferriera Robinson posta alla confluenza tra l’Allaro e il Vagellaro. Con la chiusura degli stabilimenti e l’avvento in Italia della produzione a estrusione calda iniziò l’utilizzo delle sezioni tonde, prima piene e poi cave. Tali distinzioni ci aiutano nella catalogazione temporale dei reperti giunti fino a noi.
Relativamente alla rifinitura, c’è da dire che, oltre ai particolari verniciati in oro, il colore base era costituito dal nero opaco. In qualche prodotto, che oggi definiremmo di gamma alta, al centro delle “trabacche” erano inseriti due medaglioni dipinti, decorati in genere a motivi floreali. Anche questi erano opera di maestranze locali che, a richiesta, potevano decorare i medaglioni con un intreccio in cui spiccavano le iniziali del nome dell’acquirente.
A parte la produzione di lettini, la restante gamma spaziava dai semplici oggetti d’uso quotidiano, quali palette e attizzatoi, ai più elaborati manufatti quali cancelli e inferriate per i balconi. Nel settore edilizio molto stretta era la collaborazione e la reciproca dipendenza tra i falegnami produttori di infissi, porte e portoni e i fabbri produttori di cardini, chiavistelli, serrature, etc. L’interdipendenza era evidente anche in altri prodotti, ad esempio nella realizzazione delle botti e, non ultimo, nella costruzione di componenti per carri , in particolare delle ruote. Ulteriore esempio di complementarietà è dato dalla fabbricazione degli utensili agricoli, dalle semplici zappe, rastrelli e forconi ai più complessi aratri. Per parte loro le segherie producevano semilavorati, quali travi, tavole e tavoloni per l’edilizia e tutti i prodotti base utilizzati dai falegnami per i loro prodotti tipici quali mobili, etc.
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