Prima che il Maestro Vinicio finiva di leggere gli episodi del libro Cuore con quella sua tipica tonalità calda e suadente, il profumo di pasta e fagioli insieme ad un mixer di odori di cucinato inondava prima la nostra aula ( che si trovava più vicina…) per poi raggiungere il resto dell’edificio. Quello era l’aperitivo etereo rivolto agli alunni che usufruivano della mensa scolastica, proveniente dalla grande sala adibita alla consumazione dei pasti. Il naso degli allievi annusava quegli odori invisibili, intuendo all’istante il pasto che si sarebbe gustato quel giorno. Intanto mancavano pochi minuti alle 13… nelle aule cresceva l’ansia di sentire il segnale di uscita ed il timore che il bidello avesse l’orologio poco preciso… Poi si sentiva la campanella suonata da Bruno il bidello; le sue altre colleghe Gelsomina e Matilde e gli insegnanti cercavano di contenere l’irruenza degli scolari che correndo, schiamazzando e spingendosi si riversavano dalle scale e dal pianoterra, chi verso lo stanzone ristoratore e chi verso fuori dai due portoni principali dell’istituto.
Nella refezione posta nel seminterrato, i tavoli erano allineati per contenere più posti che venivano occupati man mano che i piccoli avventori giungevano a gruppi o da soli; spesso bisticciavano per chi doveva prendere il piatto più pieno o sedere accanto al compagno preferito.
Eravamo intorno agli anni 60’, un po’ prima e un po’ dopo…la mensa collettiva era la refezione scolastica, storpiata nella pronuncia dagli alunni a refrezione o rifrizioni, la scuola era quella Elementare di Terravecchia ( oggi chiamata primaria ).
Spesso una volta fuori il portone, insieme a Ciccillo Cuteri ( fratello di Liliana Cuterì Vavalà ) e ad altri, aspettavamo i nostri compagni che stavano pranzando all’interno. Guardavo la casa vicino la scuola, il prof. Tripodi fermo sull’uscio sempre aperto della sua bottega ci sorrideva e ci salutava nonostante la sua evidente miopia ( trattasi del noto scultore del legno Salvatore Annunziato ); poi aspettavo di vedere, con gli occhi dell’innocenza, Rosetta, nella sua bellezza infantile e radiosa, oggi sublimata dal tempo trascorso…poi tornavamo a casa. Giunti nei pressi del bar Fiorindo, Nicola Lu Resi continuava il suo breve viaggio a piedi per giungere dopo 15-20 minuti alla sua meta giornaliera di la Rota di lu Margiu.
La cucina della refezione, oscurata dal fumo, era ubicata in una piccola casetta dove nei pentoloni di rame si cuocevano i cibi collettivi sul fuoco vivo a legna;
Le cuoche addette alla cucina e alla distribuzione dei pasti, munite di grembiule e rossi in volto per la fatica, erano Rafela la Nacreta ( mamma del compianto Peppe Federico ), Deli ( mamma del noto arch. Cesare Melia ), Franceschina Dominelli ( da qualche anno deceduta n Canadà ) ed altre che tra energica autorità e delicata persuazione contenevano quel fiume di bambini affamati, sistemandoli nel migliore dei modi.
Ma davvero serviva questo ausilio pubblico? Considerata la povertà di quell’epoca possiamo rispondere positivamente. Lo Stato nel secondo dopoguerra, concretemente aiutava le famiglie. Gli alunni delle scuole elementari, ogni mattina dopo le 8,15 facevano la prima colazione ( latte, biscotti e pane ) nel medesimo salone dove dopo le 13 consumavano il pasto principale della giornata ( ( consistente in primi, scatolette di carne, formaggio, provola ); agli iscritti negli elenchi speciali venivano pure dati gratis i grembiuli con i fiocchi a farfalla, le matite, le penne, i quaderni e i libri. Prestazioni del tutto gratuite senza alcun ticket.
Dopo anni di assistenza agli scolari, in generale, migliorò l’economia delle famiglie italiane e man mano cessò il dovere dello Stato di aiutare gli alunni bisognosi. La refezione fu convertita per altri fini sociali. Lo sport e la cura del corpo furono considerate discipline primeggianti dalla politica del Ministero della Pubblica Istruzione. La mensa collettiva chiuse i battenti.
Come tutte le cose, finì pure quel tempo. La mensa fu sostituita dalla palestra. La casetta-cucina fu concessa come alloggio a qualche persona bisognosa. Rimangono di allora come di tante altre epoche, solo le foto che immortalano persone e personaggi…dentro l’anima delle immagini, il cuore sensibile capta pianti e sorrisi di amici e parenti.